La routine del suicidio

di danclick

Ieri ero in viaggio verso Trieste, quando nei pressi di Cusano, una località vicina a Pordenone, il mio treno si è fermato nel bel mezzo del nulla. In principio non ci ho fatto caso: probabilmente un semaforo rosso, o un passaggio a livello che non ha funzionato a dovere, ho pensato. Dopo circa una ventina di minuti invece, il capotreno ci ha informato attraverso il sistema di diffusione audio dei vagoni, che eravamo fermi a causa di un investimento. Subito tutti hanno pensato alla stessa cosa, un suicidio, non è certo probabile che qualcuno si ritrovi su dei binari per caso mentre sopraggiunge un treno in corsa. Dal sedile dietro al mio, un giovane poco elegantemente grida ad alta voce: “non poteva buttarsi più tardi questo qua?”. La ragazza che gli siede accanto, probabilmente la fidanzata lo ammonisce e gli chiede di non gridare così. Nel frattempo i minuti passano, il clima si fa caldo e i passeggeri del vagone, sempre più irrequieti, cominciano ad alzarsi e ad aprire i finestrini. Chi cerca solo un po’ di aria fresca, chi si sporge per carpire qualche dettaglio della vicenda, tutti però sono ignari di quello che sia effettivamente successo. Dopo altri venti minuti di sosta il capotreno passa nel nostro vagone, dicendo che effettivamente ci vorrà un poco prima di ripartire, qualcuno si e gettato sotto al treno che proveniva dalla direzione opposta alla nostra e la linea è stata temporaneamente chiusa. Un altro signore con la divisa Trenitalia parla intanto con un conoscente e lo sento affermare che ormai è una storia che si ripete inesorabilmente negli ultimi tempi: è il “suo” terzo suicidio, così riferisce all’amico. Con schiettezza porta la sua personale opinione sul possibile ritardo che ci aspetta: “se non è morto allora fanno in fretta, ma se è morto andrà per le lunghe, bisogna attendere il magistrato, spostare il corpo…”. La conferma arriva direttamente dal capotreno, che devo dire ci ha tenuto sempre informati sulla situazione: l’uomo è morto, si attendono le autorità competenti per svolgere le procedure di rito e solo dopo potremo ripartire verso Trieste. Poco dopo il treno avanza per qualche decina di metri fermandosi alla stazione secondaria di Cusano, dove vengono fatti salire i passeggeri dell’altro treno che attenderanno alla stazione successiva il primo treno utile per Venezia. Passando di fianco al treno sull’altro binario, un passeggero afferma di aver visto pezzi del corpo del poveretto attaccati ad una fiancata di un vagone. Senza più dubbi, dice, l’uomo dev’essere stato tranciato a metà dalle ruote del convoglio. Tutto sommato, alla fine il ritardo accumulato ha superato di poco l’ora e questo mi ha fatto riflettere: non è stato un episodio così eccezionale evidentemente. Tutti si sono mossi con relativa rapidità, le parti addette allo svolgimento delle formalità, anche burocratiche, sono state avvertite e messe in movimento in modo efficiente ed efficace. Guardando dal finestrino del treno non si scorgevano caos, confusione o inesperienza sul da farsi. Quello che è accaduto è un qualcosa che sta diventando sempre più frequente, quasi parte della normalità, una triste routine di morte ormai fagocitata e digerita dai telegiornali. Storie di debolezza e coraggio, ce ne vuole molto per gettarsi sotto un treno in corsa, che ci lasciamo alle spalle, come quando il treno riparte da una stazione intermedia del nostro viaggio. Non c’è molto da dire in questi casi o forse ce ne sarebbe troppo. Come venne detto a Clare Torry quando fu incaricata di registrare l’assolo vocale di “The Great Gig In The Sky” dei Pink Floyd:

Non ci sono parole. Riguarda la morte.