Il Montanaro Informatico

Un po' di tutto, di tutto un po'

Categoria: Curiosità

La macchina fotografica umana

Stephen Wiltshire è un ragazzo ormai celebre per un suo innato talento. Nato nel 1974 a Londra, la sua infanzia non fu certo delle più rosee. In giovane età era muto e quando raggiunse i tre anni, suo padre morì in un incidente stradale mentre a lui fu diagnosticato l’autismo. Pochi anni dopo fu mandato in una scuola specializzata per l’assistenza dei ragazzi autistici, dove fu subito chiaro che Stephen era spinto da una passione che poi sarebbe stata il suo talento: il disegno. Le sue insegnanti incoraggiarono questa sua attitudine e all’età di cinque anni imparò a parlare. Ma era solo l’inizio, la sua vera parola risiedeva nei disegni che creava, prima semplici figure, via via sempre più complesse. A otto anni si dilettò nel disegnare auto e paesaggi urbani immaginari dopo un ipotetico terremoto. All’età di dieci anni sfoderò un opera chiamata “London Alphabet”, una sequenza di disegni in cui erano rappresentati monumenti e scorci della città di Londra (uno per ogni lettera dell’alfabeto). Vi dico subito, toglietevi dalla testa l’abilità che avevate voi all’età di dieci anni, Stephen era probabilmente ad un livello di abilità nel disegno molto superiore alla maggioranza della popolazione adulta. Non ci credete? Beh guardate voi stessi l’opera nella foto seguente.

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Gli anni successivi di Stephen videro la sua partecipazione ad un programma della BBC e una pubblicazione dei suo lavori nel 1987 e la laurea nel 1998 al City an Guilds of London Art School. Ma la straordinaria capacità di questo ragazzo non finisce qui. L’appellativo di “macchina fotografica umana” non è dato a torto: Wiltshire è infatti in grado di riprodurre con estrema precisione qualunque paesaggio urbano o meno, dopo averlo osservato solo per pochi minuti. Spiegare a parole quanto incredibile sia non rende merito quanto la visione dei suoi lavori. Negli ultimi anni si è quindi specializzato nel riprodurre paesaggi urbani e metropolitani su larghe tele. Basta un giretto in elicottero di una ventina di minuti per imprimergli nella testa, ad esempio, l’immagine della nostra capitale, Roma. Quel che segue ce lo racconta questo video:


Come Roma, questo straordinario talento ha rappresentato molti altri skylines, opere che facilmente si trovano in rete o direttamente nel suo sito web: http://www.stephenwiltshire.co.uk/. Vi propongo anche la sua rappresentazione dello skyline di Tokyo. Incredibile a dir poco, se pensiamo che tutto viene disegnato a memoria, dopo solo pochi minuti di osservazione del paesaggio.


Ormai è stato provato da tempo che molti bambini autistici riescano a sviluppare capacità sorprendenti, raggiungendo livelli neanche immaginabili dall’essere umano medio. Eppure il cervello di Stephen è un cervello umano come può essere quello di una qualunque persona, solo lo utilizza in modo diverso e, devo dire, lo usa molto bene vedendo i risultati. Non si può quindi restare indifferenti alle potenzialità di quell’organo straordinario che abbiamo incassato nel nostro cranio, forse dovremmo imparare tutti ad usarlo diversamente un po’ più spesso! 🙂 A seguire una gallery di alcuni lavori di Stephen. Buona visione!

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Google Street View Hyperlapse

Tutti conosceranno il celebre servizio Google Street View, che permette di navigare in tre dimensioni tra le strade delle città mappate da Google con le sue auto-telecamere. Pochi giorni fa è stato presentato il risultato di una collaborazione tra Google e i laboratori canadesi Teehan+Lax, che ha portato allo sviluppo di uno strumento denominato “Google Street View Hyperlapse”. Ciò che ci permette di fare è creare video timelapse, sfruttando le immagini offerte da Google Street View. Dal sito http://hyperlapse.tllabs.io/, chiunque potrà selezionare un punto di partenza e uno di arrivo, godendosi il video risultante. Durante il percorso sarà possibile mettere in pausa il video per ammirare appieno gli scorci paesaggistici che scorreranno nel vostro itinerario. Per usufruire del nuovo servizio gratuito è sufficiente utilizzare un browser che supporti WebGl, come ad esempio Google Chrome. Potrete così creare il vostro giro del mondo in pochi click! Buon divertimento!

Tablet Wars – Il Surface di Microsoft sarà mini

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La notizia è di ieri e fornita dal Wall Street Journal, in un articolo che cita fonti “familiari ai product plans di Microsoft”. Sembra ormai certo quindi che Microsoft abbia avviato la produzione di un Surface in versione mini, con schermo da 7 pollici. Forse la notizia era già nell’aria da tempo: già alla presentazione del Surface, Microsoft aveva dichiarato che quello era solo il primo di una lunga serie di prodotti destinati a coprire quasi ogni categoria mobile e non solo, ma realisticamente non si possono trovare riferimenti diretti a questo nuovo dispositivo. Si legge infatti che la versione mini di Surface non era nei piani di Microsoft, almeno fino all’anno scorso, ma che i dirigenti di Redmond hanno ritenuto necessario fornire una risposta alla rapida crescita di popolarità dei tablet più piccoli. Metà dei dispositivi spediti nel quarto trimestre infatti, secondo una ricerca di IDC, è stata costituita da prodotti con una dimensione inferiore agli 8 pollici. Allo stesso tempo, negli ultimi tempi si è  registrato un drastico calo nel settore desktop e laptop, minacciando il tradizionale punto di forza della compagnia. Secondo alcuni esperti, anche l’ultimo sistema operativo “Windows 8”, non è servito a rilanciare le vendite di portatili e desktop ma sembra invece aver accelerato il passaggio ai dispositivi tablet, probabilmente per l’interfaccia maggiormente mirata al futuro “touch”, sebbene progettata per un funzionamento pratico anche con i tradizionali dispositivi di input. Una precisa scelta per acquisire fette di mercato in espansione e che ancora (in termini di percentuali) non sorride all’azienda, visto anche che sia Microsoft che i produttori hardware non hanno finora “spinto” prodotti equipaggiati con Windows 8 dalle dimensioni minori di 10 pollici, perdendo quindi le fasi di “boom” del settore mini. Il tutto comunque (parere personale) si inserisce in un progetto dalle più ampie vedute che mira a raggiungere un’unificazione delle esperienze e delle proposte, processo già in atto con il lancio di Windows Phone 7 prima e della versione 8 poi. Tornando al Surface Mini vige ancora assoluta segretezza sul prezzo e sulle effettive specifiche, c’è chi ipotizza possa essere solamente una versione più piccola del Surface RT, ponendosi quindi in diretta concorrenza con l’iPad Mini, il Nexus 7 e il tablet di Amazon, il Kindle Fire HD che ha avuto un buon successo di vendite. La produzione di massa infine, secondo le fonti citate dal WSJ, dovrebbe iniziare già entro la fine di quest’anno. La (mini) guerra dei tablet è solamente agli inizi.

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Prendiamo esempio dal topo

Alla fine del post capirete tutto. Prima una piccola premessa. Oggi devo dire che l’umore non è dei più alti: questa mattina ho assistito ad un incontro organizzato dall’università e tenuto dalla direttrice di filiale di Adecco per Trieste e Monfalcone. Lo scopo del piccolo seminario era quello di fornire, a noi futuri laureati, dei consigli sul come e sul dove cercare opportunità lavorative, ma soprattutto sul come affrontare la stesura di un CV adeguato e gestire il tanto temuto colloquio di lavoro. A parte i preziosi consigli che non sono mancati, una cosa mi ha lasciato l’amaro in bocca: sentire la speaker affermare come un ritardo di un anno nel percorso di studi universitario fosse “al limite” accettabile, mentre un ritardo di due o più anni (i temuti anni fuori corso) fosse molto mal visto e giustificabile solo se accompagnato da opportune e valide motivazioni del “candidato”. Mi sono guardato intorno nell’aula in cui eravamo e ho pensato: “quanti dei miei colleghi possono affermare di essere “al passo” con le tempistiche?”. La risposta credo sia abbastanza scontata, almeno per chi frequenta l’ambiente universitario. Attenzione, non giustifico la pelandroneria e lo stato mentale del “mantenuto da papà” che lo studio non sa nemmeno cosa sia, parlo di me, di tanti amici e compagni di corso, conoscenti (anche solo di vista) che certo non sono assolutamente esempi di comportamenti parassiti nei confronti dei genitori, ma che loro malgrado si trovano uno o due anni fuori corso. Non sto qui ad aprire parentesi sulla bontà o meno dei piani di studio, ognuno la può pensare come vuole, certo è che nessuno avrà da obiettare se affermiamo che il laurearsi nei tempi, almeno ad ingegneria, sia l’eccezione che conferma la regola. La regola non scritta, ma oggettivamente verificabile, sul fatto che uno o due anni fuori corso, per una persona che non sia un genio (si sa, sono i geni che dovrebbero essere le eccezioni), sono necessari per completare una delle lauree del settore ingegneristico. Forse a qualcuno sfugge la realtà dei fatti o forse sono io che non riesco a vedere la globalità delle cose, ma mi fermo alla realtà locale della mia università. Detto ciò, vi starete chiedendo quale correlazione vi sia col titolo del post. Presto detto: dedico il video seguente a tutte le persone che con sacrifici e fatica stanno studiando e che si sentono dire queste cose “taglia gambe”. Noi come il topo usciamo dalla tana e partiamo alla carica verso il nostro formaggio, l’università. Siamo carichi di speranze, vogliosi di imparare e crescere. Ma come dice il proverbio: non è tutto formaggio quel che sa di formaggio (forse non era così, ma un piccolo adattamento me lo consentirete). Ed ecco che accade quello che non ci aspetteremmo: la morsa di un sistema imperfetto, che sembra contro di noi studenti, ci stringe il collo e ci fa perdere l’entusiasmo; ci manda fuori corso e ci lascia l’amaro in bocca della sensazione di aver fatto la scelta sbagliata. Ma non finisce qui, in fondo ne abbiamo di forze da giocarci, siamo giovani ed adattabili. Testa alta e prendiamo esempio dal topo, non avranno la nostra pelle facilmente. In fondo, il futuro del mondo la fuori siamo noi.

Leggere il New York Times senza limiti

Se siete capitati qualche volta sul sito del celebre quotidiano “New York Times”, vi sarete accorti che per poter usufruire del servizio e navigare liberamente tra gli articoli, sia richiesta la sottoscrizione di un abbonamento che parte dai 15 $ al mese. C’è un trucchetto per chi, come me, spesso si ritrova a leggere articoli del NYT ma non così spesso da giustificare l’abbonamento. Il limite mensile è di 10 articoli e una volta raggiunto ci verrà mostrato un messaggio, come quello che vedete nella figura, impedendoci di leggere l’articolo aperto.

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Ora, può capitare che voi superiate il limite dei 10 articoli letti, ma che un giorno vediate dalla home page del giornale un articolo che proprio vorreste leggere. La soluzione è presto detta: il Times, come molti altri giornali online, per favorire l’afflusso di nuovi clienti permette l’accesso illimitato agli articoli che sono stati forniti in seguito ad una ricerca, per esempio su Google. Vedete infatti che cercando il titolo dell’articolo, aggiungendo le parole “New York Times”, il primo risultato della ricerca di Google sia proprio l’articolo che ci interessa.

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Aprendo l’articolo da qui sarà ora pienamente consultabile, anche se avete come in questo caso, superato il limite massimo mensile, ecco infatti l’immagine che mostra la pagina dell’articolo ottenuta con il link della ricerca di Google, si può notare come non compaia più il messaggio.

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Proprio perché le testate online vogliono favorire l’incremento di lettori, questo ragionamento potrebbe valere anche per altri giornali in abbonamento, quindi prima di sborsare soldi per un abbonamento che magari non sarebbe giustificato, visto che non siete assidui frequentatori del sito, provate il trucchetto della ricerca sul web: aprite la home page del giornale, individuate l’articolo che vi interessa e cercatelo su un motore di ricerca aggiungendo alla stringa il nome del quotidiano. Tentar non nuoce!

Voglio fare un gioco con te

Facciamo un gioco: pensate alla vostra casa, a tutto quello che c’è dentro. Fatto? Bene, prendete e buttate via tutto. Ora fate conto di avere carta bianca per la creazione della vostra nuova casa, vi dò solo alcune misure di riferimento: al più sia lunga 160 metri e larga 24, potete sviluppare l’abitazione su più piani tranquillamente. Immaginate tutti i comfort che vorreste avere, che ne so, tv in tutte le stanza, bagni giganteschi con idromassaggio, connessione wi-fi, magari un ristorante privato con decine di servitori ai vostri ordini. Dimenticate i vecchi pavimenti sciatti e sostituite tutto con marmi preziosi e dorature ovunque! Bene, confezionate mentalmente questa casa, moltiplicatela per svariate volte (con svariate intendo che se la vostra casa è per 4 persone, pensatene ad una con capienza decine di volte superiore). Aspettate un momento, avevo detto di sbizzarrirvi e pensare a tutti i comfort! Sono sicuro che vi siete dimenticati la piazzola di atterraggio per elicotteri e quel mega teatro con decine di posti che può ospitare un’orchestra di 50 elementi, dove assistere a concerti e spettacoli che più vi aggradano! Aggiungete tutto nel pacchetto, non siate tirchi. Ora prendete questa immensa casa e, materializzatela. No non posatela lì per terra, un secondo per favore, come siete prevedibili! Dove eravamo rimasti? Ah si, prendete la vostra mega casa e spostatela (lo so è pesante ma fate un piccolo sforzo), sull’acqua. Si, avete capito bene e state tranquilli che galleggia, fidatevi. Ecco, quello che avete solo immaginato esiste e l’altra sera l’ho visto a Trieste. Nel pomeriggio di sabato, passeggiando sulle rive, qualsiasi essere umano dotato di una vista quantomeno infinitesima, avrà notato un gigantesco mega-yacht attraccato all’ormeggio 29. Trovandomi nella situazione di vedere un prodigio della nautica del genere, quello che ho pensato è stato: “wow” e poi “aspetta che vediamo di chi è”. Detto fatto, grazie al fedele smartphone, in un paio di secondi sono venuto a conoscenza che la “modesta” imbarcazione, che di nome fa “Al Said”, appartiene al sultano dell’Oman, Qaboos bin Said. Lo yacht è attualmente il terzo più grande al mondo, dietro al celeberrimo appartenente ad Abramovich e a quello di un altro sultano di qualche paese che ora non ricordo. Misura quasi 160 metri di lunghezza e può ospitare fino a 70 passeggeri e oltre 150 unità di equipaggio. Al suo interno non mancano tutti i comfort, disponibili per ognuna delle trenta cabine più cinque suite vista mare: servizi privati, televisioni led, interni lussuosissimi, connessione internet, tutto insomma. D’obbligo anche la pista di atterraggio per elicotteri e, udite udite, anche il teatro interno per concerti e spettacoli che vi avevo consigliato di aggiungere al progetto. Valore del tutto: attorno ai 400 milioni di dollari, una cifra esigua per certe personalità. Non voglio fare il finto moralista che non sono: potessi disporre di una cifra simile, me ne prenderei uno uguale, ci pensate che sogno poter disporre di un condominio lussuosissimo che per di più può spostarsi quando e dove vogliate? Ai passanti triestini tutto quello che è concesso si limita alla visione esterna di questa belva galleggiante, ma l’immaginazione, come spero di avervi provato poco fa, può aiutarci a capire cosa significhi possedere un natante simile. Qui di seguito vedete la foto del “Al Said” che ho scattato personalmente e altre trovate qua e la in rete (purtroppo nessuna con riferimento agli interni). Non si può restare indifferenti quando si vede uno spettacolo del genere. Probabilmente molti storceranno il naso di fronte a tali lussi, ma sono dell’idea che chi ha i soldi ci faccia quello che vuole, contando che spesso visite di queste personalità portano vantaggi, seppur temporanei all’economia del luogo (si pensi alle spese pazze degli sceicchi o anche ai soli costi di attracco al molo). Se avete in mente di comprarne uno, sappiate che anche riuscendo a mettere da parte 2500 $ al mese (cosa assai difficile al momento), dovreste lavorare per 13333 anni ossia ripetere la vostra vita per 156 volte (supponendo di lavorare dall’istante in cui vedrete la luce). C’è chi invece può disporre di una cifra simile schioccando le dita. Per fortuna fantasticare almeno (per ora) non costa nulla.
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Paul Gilbert a Trieste!

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Grande serata ieri al teatro Miela di Trieste. Ad esibirsi niente meno che Paul Gilbert, uno dei chitarristi considerato tra i “grandi” dello strumento. Parteciparvi era un obbligo essendo appassionato di chitarra elettrica (suonicchio anche qualcosina), ma anche per i non patiti dello strumento lo show messo in scena è stato straordinario. Una performance degna di un concerto da stadio, prova che non serve avere lo stadio per fare un concerto strepitoso, visto che il Miela le dimensioni di uno stadio certo non le ha. Non c’è da dilungarsi sull’eccezionale tecnica di Gilbert, ma va sottolineata anche la bravura degli altri strumentisti, indimenticabile sarà per me l’assolo di batteria di Thomas Lang che a momenti tira giù il teatro mandando tutto in risonanza, ma anche l’abilità alle tastiere della moglie di Gilbert, Emi che sfodera un carattere da vera professionista. Ultimo ma non ultimo il bassista Kelly Lemieux un vero pazzo (nel senso buono del termine) bello da ascoltare ma soprattutto un piacere da osservare nelle sue espressioni da rockettaro di spessore. Posso senza dubbio affermare che sia il più bel concerto al quale abbia assistito, soprattutto per quello che è successo dopo! Finita l’esibizione la mia priorità era acquistare il nuovo disco di Gilbert e fiondarmi in cerca dell’autografo. Subito la delusione: viene annunciato che nessun componente della band uscirà per firmare autografi. Mossi da una speranza sorda siamo in molti a restare nel teatro, in attesa che prima o poi il nostro idolo esca da quella tenda. Nulla, passano quasi due ore e veniamo invitati a lasciare la struttura per la dovuta chiusura dell’immobile. Tra i pochi rimasti regna la rassegnazione e pian piano il teatro si svuota. Ma l’obiettivo della serata era tornare a casa con l’autografo e subito iniziamo a circondare letteralmente il teatro in attesa che qualcuno esca da qualche parte. Infine ecco il segnale che aspettavamo: un’auto si ferma davanti all’uscita laterale del teatro, ci fiondiamo sul posto e dopo altri dieci minuti cominciano a uscire alla spicciolata i componenti della band: prima il bassista, poi Paul e la moglie Emi ed infine il batterista Lang. CD firmato da tutti e quattro e missione compiuta. Prossima missione: mettere al sicuro la copertina del CD (pensavo ad una plastificazione) per preservare gli autografi che purtroppo sono stati fatti con un pennarello non indelebile. Qui di seguito il premio per essere rimasti in attesa per oltre due ore (tirava anche la Bora) e aver bloccato i musicisti all’uscita secondaria, come provetti cacciatori di star: il cd firmato e una foto con il mitico Paul. Che serata indimenticabile!
P.S. Un grazie alla morosa e all’amico Alessandro che hanno pazientemente atteso con me. 🙂

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NASA – Compilation 2012

LA NASA ha da pochi giorni rilasciato un video che racchiude una sorta di compilation delle più belle “panoramiche” della terra. Un video confezionato con la tecnica del timelapse che lascia a bocca aperta. Le immagini si riferiscono all’anno 2012 e sono il frutto di un montaggio che prevede foto reali ma anche ricostruzioni 3D e visualizzazioni di dati (ad esempio il flusso delle correnti). Con questi fotogrammi, ottenuti grazie ai più recenti ed innovativi satelliti della flotta NASA, possiamo capire come l’ente spaziale americano “veda” il nostro pianeta attraverso tutte le informazioni a sua disposizione e che sfuggono all’occhio umano. Buona visione dunque!

Ancora 5 minuti…zzz

Si sa, il periodo che coincide con il cambio di stagione può causare a molte persone disturbi quali sonnolenza, difficoltà di concentrazione e irritabilità. Che sia questo o meno, in queste ultime settimane anch’io fatico ad alzarmi la mattina dal letto, quasi avessi gli arti inchiodati al materasso. Fortunatamente, però, non ho mai avuto un brutto rapporto con la sveglia, le nostre relazioni si sono sempre dimostrate essenziali e sintetiche: lei suona e io la spengo. Però ad alcuni forse piace così tanto il suono della sveglia alla mattina, che il più delle volte la posticipano una, due o addirittura tre volte. Vi siete mai chiesti se sia la cosa giusta da fare? Credete di fare bene al vostro organismo sonnecchiando qualche minuto di più del previsto? Un video prova a spiegarci in maniera semplice e simpatica cosa avviene ai nostri corpi quando alla mattina si deve affrontare quel benedetto aggeggio che fa un frastuono infernale. Ah ricordatevi: non mettete mai una canzone che vi piace come suoneria per la sveglia, sarebbe il miglior modo per farvela odiare.

Telefono cellulare: 40 anni e non sentirli

Ricorre oggi il 40 “compleanno”, se così vogliamo chiamarlo, del telefono cellulare. La tecnologia in generale, se ci pensate, vive un ciclo vitale speculare rispetto a quello degli esseri viventi. Noi nasciamo e col passare degli anni invecchiamo, le nostre capacità fisiche e mentali si vanno via via ad assopire, fino al totale annullamento. Per la tecnologia, ed il telefono cellulare non fa eccezione, accade l’inverso. Potremmo dire che in questo campo gli oggetti innovativi e le invenzioni sottese dalle nuove tecnologie, nascano “vecchie”: funzionalità limitate, forme sgraziate e squilibrate, non si può fare insomma il paragone con un giovane uomo nel pieno delle sue potenzialità. La particolare condizione in cui si sviluppano le nuove branche della scienza però, porta questi oggetti a ringiovanire col tempo, si evolvono, acquisiscono più intelligenza, più memoria, più utilità senza conoscere nella maggior parte dei casi una curva di declino come quella umana. Per il telefono cellulare è successo proprio questo. Nato 40 anni fa dagli sforzi di Martin Cooper, direttore della sezione “ricerca e sviluppo” della Motorola che fece la sua prima telefonata da un cellulare il 3 aprile 1973, questo oggetto tecnologico ha saputo reinventarsi, rinnovarsi ed insinuarsi nelle nostre vite in maniera sorprendente.

Il primo telefono cellulare.

Il primo telefono cellulare.

Da quando nel 1973 ha cominciato a fare capolino (anche se il primo cellulare per la vendita pubblica arrivò solo 10 anni dopo), la sua memoria è migliorata notevolmente ed è diventato più rapido nel fare le cose, anzi, più rapido nel fare PIU’ cose assieme, sa orientarsi alla perfezione (GPS), con un occhio anche alla linea (in effetti il dimagrimento è indiscusso). Ormai il telefono cellulare è talmente radicato nelle nostre vite che molti, se privati di esso, possono soffrire di vere e proprie crisi d’ansia e di astinenza. C’è addirittura chi, pur in difficoltà economiche, non rinuncia all’ultimo modello di smartphone (si ha anche cambiato nome perché fa più figo) sborsando centinaia di euro senza fiatare. Grazie a lui si è arrivati a quello che tutti noi ormai diamo per scontato: la connettività full-time. Siamo sempre disponibili, sempre raggiungibili, tutte le informazioni che ci servono stanno potenzialmente nello spazio di un palmo di mano. Pensate come sarebbe la situazione senza avere la possibilità di utilizzare questo grandioso dispositivo: le informazioni circolerebbero con una velocità molto inferiore, anche solo rintracciare qualcuno che non ha abbia a portata di mano un telefono fisso, sarebbe come cercare un ago in un pagliaio. Ecco, forse il rovescio della medaglia è proprio questo. L’evoluzione del telefono cellulare è stata così sorprendente e inarrestabile che alla fine siamo giunti al punto di possedere un oggetto tutto fare: possiamo navigare in internet per vedere gli orari del treno, oppure utilizzare i GPS integrati come guida verso una destinazione, o ancora leggere e inviare mail, scattare fotografie, filmare, scrivere documenti, comandare a distanza le nostre case (si, si arriva anche a questo). Abbiamo condensato le funzionalità di numerosi oggetti in un’unica sintesi che funge per essi. Ma cosa succederebbe se l’unico oggetto che racchiude tutto questo non ci fosse? Un po’ come nel mercato finanziario si sconsiglia in assoluto di investire il capitale in un unica direzione ma si invita a diversificare l’investimento, siamo sicuri che anche in questo caso non sia così? Siamo sicuri di essere nella direzione giusta quando affidiamo tutta questa responsabilità ad un oggetto solo? Le opinioni sono discordanti, quel che è certo però è che ormai siamo entrati in un tunnel tecnologico dal quale sarà difficile uscire (a patto che lo si voglia), anche i più conservatori, ormai messo da parte il vecchio, cedono il passo agli ultimi modelli, molti possiedono addirittura due o più dispositivi mobili, a ulteriore prova del grado di infiltrazione che questa tecnologia ha ormai acquisito. Insomma, a 40 anni dalla sua nascita il telefono cellulare non smette di crescere in potenzialità, proprio come un uomo che vive una vita al contrario e da vecchio prosegua la sua vita verso un cammino di giovinezza crescente. Chissà dove arriverà? Permettetemi però un consiglio: fatelo per senso della tradizione o per necessità, ma controllate almeno che il vostro prossimo smartphone funzioni anche da telefono e vi permetta di fare delle telefonate che, in fondo, è il motivo per cui esiste.