Il Montanaro Informatico

Un po' di tutto, di tutto un po'

Categoria: Scienza

La macchina fotografica umana

Stephen Wiltshire è un ragazzo ormai celebre per un suo innato talento. Nato nel 1974 a Londra, la sua infanzia non fu certo delle più rosee. In giovane età era muto e quando raggiunse i tre anni, suo padre morì in un incidente stradale mentre a lui fu diagnosticato l’autismo. Pochi anni dopo fu mandato in una scuola specializzata per l’assistenza dei ragazzi autistici, dove fu subito chiaro che Stephen era spinto da una passione che poi sarebbe stata il suo talento: il disegno. Le sue insegnanti incoraggiarono questa sua attitudine e all’età di cinque anni imparò a parlare. Ma era solo l’inizio, la sua vera parola risiedeva nei disegni che creava, prima semplici figure, via via sempre più complesse. A otto anni si dilettò nel disegnare auto e paesaggi urbani immaginari dopo un ipotetico terremoto. All’età di dieci anni sfoderò un opera chiamata “London Alphabet”, una sequenza di disegni in cui erano rappresentati monumenti e scorci della città di Londra (uno per ogni lettera dell’alfabeto). Vi dico subito, toglietevi dalla testa l’abilità che avevate voi all’età di dieci anni, Stephen era probabilmente ad un livello di abilità nel disegno molto superiore alla maggioranza della popolazione adulta. Non ci credete? Beh guardate voi stessi l’opera nella foto seguente.

London_Alphabet_poster_red
Gli anni successivi di Stephen videro la sua partecipazione ad un programma della BBC e una pubblicazione dei suo lavori nel 1987 e la laurea nel 1998 al City an Guilds of London Art School. Ma la straordinaria capacità di questo ragazzo non finisce qui. L’appellativo di “macchina fotografica umana” non è dato a torto: Wiltshire è infatti in grado di riprodurre con estrema precisione qualunque paesaggio urbano o meno, dopo averlo osservato solo per pochi minuti. Spiegare a parole quanto incredibile sia non rende merito quanto la visione dei suoi lavori. Negli ultimi anni si è quindi specializzato nel riprodurre paesaggi urbani e metropolitani su larghe tele. Basta un giretto in elicottero di una ventina di minuti per imprimergli nella testa, ad esempio, l’immagine della nostra capitale, Roma. Quel che segue ce lo racconta questo video:


Come Roma, questo straordinario talento ha rappresentato molti altri skylines, opere che facilmente si trovano in rete o direttamente nel suo sito web: http://www.stephenwiltshire.co.uk/. Vi propongo anche la sua rappresentazione dello skyline di Tokyo. Incredibile a dir poco, se pensiamo che tutto viene disegnato a memoria, dopo solo pochi minuti di osservazione del paesaggio.


Ormai è stato provato da tempo che molti bambini autistici riescano a sviluppare capacità sorprendenti, raggiungendo livelli neanche immaginabili dall’essere umano medio. Eppure il cervello di Stephen è un cervello umano come può essere quello di una qualunque persona, solo lo utilizza in modo diverso e, devo dire, lo usa molto bene vedendo i risultati. Non si può quindi restare indifferenti alle potenzialità di quell’organo straordinario che abbiamo incassato nel nostro cranio, forse dovremmo imparare tutti ad usarlo diversamente un po’ più spesso! 🙂 A seguire una gallery di alcuni lavori di Stephen. Buona visione!

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NASA – Compilation 2012

LA NASA ha da pochi giorni rilasciato un video che racchiude una sorta di compilation delle più belle “panoramiche” della terra. Un video confezionato con la tecnica del timelapse che lascia a bocca aperta. Le immagini si riferiscono all’anno 2012 e sono il frutto di un montaggio che prevede foto reali ma anche ricostruzioni 3D e visualizzazioni di dati (ad esempio il flusso delle correnti). Con questi fotogrammi, ottenuti grazie ai più recenti ed innovativi satelliti della flotta NASA, possiamo capire come l’ente spaziale americano “veda” il nostro pianeta attraverso tutte le informazioni a sua disposizione e che sfuggono all’occhio umano. Buona visione dunque!

Ancora 5 minuti…zzz

Si sa, il periodo che coincide con il cambio di stagione può causare a molte persone disturbi quali sonnolenza, difficoltà di concentrazione e irritabilità. Che sia questo o meno, in queste ultime settimane anch’io fatico ad alzarmi la mattina dal letto, quasi avessi gli arti inchiodati al materasso. Fortunatamente, però, non ho mai avuto un brutto rapporto con la sveglia, le nostre relazioni si sono sempre dimostrate essenziali e sintetiche: lei suona e io la spengo. Però ad alcuni forse piace così tanto il suono della sveglia alla mattina, che il più delle volte la posticipano una, due o addirittura tre volte. Vi siete mai chiesti se sia la cosa giusta da fare? Credete di fare bene al vostro organismo sonnecchiando qualche minuto di più del previsto? Un video prova a spiegarci in maniera semplice e simpatica cosa avviene ai nostri corpi quando alla mattina si deve affrontare quel benedetto aggeggio che fa un frastuono infernale. Ah ricordatevi: non mettete mai una canzone che vi piace come suoneria per la sveglia, sarebbe il miglior modo per farvela odiare.

Telefono cellulare: 40 anni e non sentirli

Ricorre oggi il 40 “compleanno”, se così vogliamo chiamarlo, del telefono cellulare. La tecnologia in generale, se ci pensate, vive un ciclo vitale speculare rispetto a quello degli esseri viventi. Noi nasciamo e col passare degli anni invecchiamo, le nostre capacità fisiche e mentali si vanno via via ad assopire, fino al totale annullamento. Per la tecnologia, ed il telefono cellulare non fa eccezione, accade l’inverso. Potremmo dire che in questo campo gli oggetti innovativi e le invenzioni sottese dalle nuove tecnologie, nascano “vecchie”: funzionalità limitate, forme sgraziate e squilibrate, non si può fare insomma il paragone con un giovane uomo nel pieno delle sue potenzialità. La particolare condizione in cui si sviluppano le nuove branche della scienza però, porta questi oggetti a ringiovanire col tempo, si evolvono, acquisiscono più intelligenza, più memoria, più utilità senza conoscere nella maggior parte dei casi una curva di declino come quella umana. Per il telefono cellulare è successo proprio questo. Nato 40 anni fa dagli sforzi di Martin Cooper, direttore della sezione “ricerca e sviluppo” della Motorola che fece la sua prima telefonata da un cellulare il 3 aprile 1973, questo oggetto tecnologico ha saputo reinventarsi, rinnovarsi ed insinuarsi nelle nostre vite in maniera sorprendente.

Il primo telefono cellulare.

Il primo telefono cellulare.

Da quando nel 1973 ha cominciato a fare capolino (anche se il primo cellulare per la vendita pubblica arrivò solo 10 anni dopo), la sua memoria è migliorata notevolmente ed è diventato più rapido nel fare le cose, anzi, più rapido nel fare PIU’ cose assieme, sa orientarsi alla perfezione (GPS), con un occhio anche alla linea (in effetti il dimagrimento è indiscusso). Ormai il telefono cellulare è talmente radicato nelle nostre vite che molti, se privati di esso, possono soffrire di vere e proprie crisi d’ansia e di astinenza. C’è addirittura chi, pur in difficoltà economiche, non rinuncia all’ultimo modello di smartphone (si ha anche cambiato nome perché fa più figo) sborsando centinaia di euro senza fiatare. Grazie a lui si è arrivati a quello che tutti noi ormai diamo per scontato: la connettività full-time. Siamo sempre disponibili, sempre raggiungibili, tutte le informazioni che ci servono stanno potenzialmente nello spazio di un palmo di mano. Pensate come sarebbe la situazione senza avere la possibilità di utilizzare questo grandioso dispositivo: le informazioni circolerebbero con una velocità molto inferiore, anche solo rintracciare qualcuno che non ha abbia a portata di mano un telefono fisso, sarebbe come cercare un ago in un pagliaio. Ecco, forse il rovescio della medaglia è proprio questo. L’evoluzione del telefono cellulare è stata così sorprendente e inarrestabile che alla fine siamo giunti al punto di possedere un oggetto tutto fare: possiamo navigare in internet per vedere gli orari del treno, oppure utilizzare i GPS integrati come guida verso una destinazione, o ancora leggere e inviare mail, scattare fotografie, filmare, scrivere documenti, comandare a distanza le nostre case (si, si arriva anche a questo). Abbiamo condensato le funzionalità di numerosi oggetti in un’unica sintesi che funge per essi. Ma cosa succederebbe se l’unico oggetto che racchiude tutto questo non ci fosse? Un po’ come nel mercato finanziario si sconsiglia in assoluto di investire il capitale in un unica direzione ma si invita a diversificare l’investimento, siamo sicuri che anche in questo caso non sia così? Siamo sicuri di essere nella direzione giusta quando affidiamo tutta questa responsabilità ad un oggetto solo? Le opinioni sono discordanti, quel che è certo però è che ormai siamo entrati in un tunnel tecnologico dal quale sarà difficile uscire (a patto che lo si voglia), anche i più conservatori, ormai messo da parte il vecchio, cedono il passo agli ultimi modelli, molti possiedono addirittura due o più dispositivi mobili, a ulteriore prova del grado di infiltrazione che questa tecnologia ha ormai acquisito. Insomma, a 40 anni dalla sua nascita il telefono cellulare non smette di crescere in potenzialità, proprio come un uomo che vive una vita al contrario e da vecchio prosegua la sua vita verso un cammino di giovinezza crescente. Chissà dove arriverà? Permettetemi però un consiglio: fatelo per senso della tradizione o per necessità, ma controllate almeno che il vostro prossimo smartphone funzioni anche da telefono e vi permetta di fare delle telefonate che, in fondo, è il motivo per cui esiste.

21 vittoria, grande baldoria!

Il titolo del post evocherà ai più il celebre film “21“, in cui si racconta la storia di uno studente universitario promettente, ma in difficoltà economiche, che con una squadra di amici e un professore si lanciano nel gioco del Blackjack a Las Vegas. Proprio ieri, capita raramente, ho avuto l’occasione di andare al Casinò di Venezia (Ca’ Noghera) e dopo aver girovagato e giocato il ticket d’ingresso ad una slot machine (solo il caso vuole che alla fine ne abbia guadagnato qualcosina), mi sono fermato per una buona mezz’ora ad osservare i banchi da blackjack. Risulta indiscusso il fatto che il fascino del gioco al tavolo superi infinite volte la monotonia di stare davanti ad una macchina a schiacciare un pulsante. Al contrario delle slot machines, inoltre, il gioco “ai tavoli”, intendendo blackjack, roulette, poker e così via, richiede una certa dose di capacità. Fatto sta che poco prima di partire qualche mano al tavolo l’ho fatta pure io. Insieme a mio fratello siamo partiti con un investimento di 50€, arrivando a intascarne un totale di 90€, con 40€ di guadagno. Molti di quelli che leggeranno il post e di sicuro molti di quelli che non lo faranno, a sentir parlare di gioco d’azzardo (perché di questo si tratta), storceranno il naso, affermando che è un modo come un altro di buttare in fumo i propri soldi, tentando la fortuna. Alle sale da gioco va bene che si diffonda quest’idea, in quanto non fa altro che favorire gli introiti dei casinò. La verità è che il blackjack come altri giochi d’azzardo può essere giocato in maniera logica e coscienziosa, anche se questo modo di giocare impone allo scommettitore di acquisire delle conoscenze, ossia per intenderci: fare fatica. Sostanzialmente stiamo parlando di probabilità: sono stati fatti numerosi studi in passato che hanno permesso di sviluppare tecniche di gioco da seguire rigidamente per raggiungere (con buona probabilità) buoni risultati nel medio-lungo periodo di gioco. La strategia più semplice viene chiamata “Strategia di Base” e per attuarla si dovrà imparare sostanzialmente una serie di regole che sintetizzano una tabella, in cui ogni possibile situazione di gioco viene presa in considerazione e viene fornito il comportamento da attuare. Senza inoltrarsi troppo nello specifico, chi è interessato può trovare ampia documentazione in rete, un esempio di regola potrebbe essere: “se la somma delle mie carte è 13, non chiedere carta se il banco ha come carta scoperta una carta che va da 2 a 6, altrimenti chiedere carta”. In pratica sono sintesi verbali di una tabella che descrive le varie mosse da compiere. Un esempio di tabella della strategia di base è riportata qui di seguito:
black-jack-strategie
In questa tabella sono sintetizzate le azioni MATEMATICAMENTE corrette da intraprendere secondo gli studi probabilistici effettuati. In pratica dato il valore delle nostre carte in mano e quella della carta scoperta del banco ci sarà detto se:

  • S: STAND. Stare, ossia non chiedere ulteriori carte.
  • H: HIT. Chiedere carta.
  • D: DOUBLE. Raddoppiare. (per il regolamento visitate la pagina di Wikipedia).
  • SP: SPLIT. Dividere le due carte (vedere sempre il regolamento).

Se si attuano queste regole, si sta a tutti gli effetti adottando la suddetta “strategia di base” che ci informa sul migliore metodo di gioco in termini matematici e probabilistici. Ora vi starete sicuramente chiedendo: come mai pur esistendo una precisa e scientifica strategia che ci mette nelle migliori condizioni (matematicamente parlando) di vittoria, i casinò generano in continuazione introiti milionari senza l’ombra di crisi? La risposta è semplice: perché la maggior parte dei giocatori si affida non ad un gioco scientifico e matematico, ma all’intuito e al gioco poco rigoroso. La stragrande maggioranza di chi si siede al tavolo in sostanza, non attua una strategia di gioco ma si lascia guidare da scaramanzie e intuizioni che a lungo andare generano perdite per i clienti dei casinò e introiti certi per le case da gioco. Il fatto che tanti non attuino una logica ferrea risiede probabilmente nel fatto che imparare una strategia del genere richiede molta pratica e anche una buona dose di impegno che per molti non vale la pena spendere. Inoltre anche il fatto di seguire rigorosamente una tattica di gioco non sempre risulta psicologicamente semplice: potrebbe ad esempio capitare che per due, tre, cinque mani consecutive vi troviate davanti alla stessa situazione di gioco, per esempio abbiate 12 in mano e il banco abbia 6, e pur attuando la strategia che impone di stare e non chiedere carta, perdiate inesorabilmente la mano tutte le volte. La difficoltà risiede qui: molti alla volta successiva avendo in mano 12 e vedendo un 6 al banco sarebbero tentati di fare un’eccezione alla regola e chiamare carta. Può andare bene come può andare male, si penserebbe. In realtà il calcolo delle probabilità dice che a lungo termine, andando fuori dal sentiero che la strategia vi suggerisce, sarete destinati a perdere. La difficoltà è dunque quella di mantenere la mente fredda, lucida e di seguire la strategia scelta senza sgarrare MAI. Sommando questa difficoltà psicologica, l’ignoranza da parte dei più (nel senso che la maggior parte della gente ignora addirittura l’esistenza della strategia stessa) e la fatica e l’impegno necessari a maneggiare la strategia con rapidità, il risultato è nettamente a favore dei casinò che hanno ovviamente il vantaggio sui giocatori. Spero di avervi proposto una visione un po’ diversa dal solito del gioco del blackjack, un gioco semplice ma affascinante sia per il contatto umano che si ha al tavolo da gioco (con il croupier e con gli altri giocatori) sia per i retroscena matematici che ne regolano lo svolgimento e che se ben studiati possono dare soddisfazioni anche economiche non irrilevanti. Poi, si sa, ci vuole fortuna…o forse no?

We are here: the pale blue dot

Abbiamo parlato pochi giorni fa della sonda Voyager ,1 che veniva data ormai per navigante nello spazio interstellare. Un documento ufficiale della NASA ha smentito poco dopo questa notizia, affermando che il passaggio nello spazio interstellare dovrebbe coincidere anche con un cambiamento del verso del campo magnetico registrato dai sensori, che ancora non si è verificato. Tutto ciò nulla toglie allo straordinario valore scientifico della missione Voyager che comunque ha il merito di aver lanciato nello spazio l’oggetto umano che al momento si trova più distante in assoluto dalla terra. Ma il valore scientifico non è l’unico, la scienza quando si raggiungono limiti tanto arditi si fonde con considerazioni di carattere più impalpabile, psicologico, esistenziale. E forse proprio Voyager 1 ha il merito, oltre ad aver spinto un oggetto umano così distante, anche di aver ampliato gli orizzonti mentali dell’uomo, facendoci comprendere una volta per tutte la nostra insignificanza a livello universale. Nel 1990 la sonda, di cui ormai sappiamo quasi tutto, inviò sulla terra una di quelle fotografie che entrano nella storia. All’epoca Voyager 1 si trovava a più di 6000 miliardi di Km (mentre attualmente è oltre i 18000 miliardi di Km) e orientando il suo obiettivo verso di noi scattò un’immagine poi rinominata “The Pale Blue Dot“.  L’immagine è proposta qui sotto, in due versioni. Il nostro pianeta terra è quel minuscolo puntino blu circa a metà altezza, sovrapposto alla striscia rossastra obliqua. Nella seconda foto è circondato da un cerchio.


L’idea di girare gli obiettivi della sonda e scattare queste foto fu di Carl Sagan, astronomo e divulgatore scientifico che poco dopo lo scatto scrisse un libro per esporre il significato profondo di quell’immagine. Scrive Sagan nel suo libro:

Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.
Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare i signori momentanei di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che abbiamo una qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.

La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora. Che vi piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.

Leggendo queste parole si capisce come questa foto sia una testimonianza eccezionale, non solo dal punto di vista scientifico, ma anche sul piano degli interrogativi riguardo l’umanità: il suo ruolo, la nostra posizione nell’universo. Questo reperto ridimensiona qualunque idea che dia alla popolazione terrestre una qualsivoglia importanza. Vi propongo un video realizzato proprio grazie alle considerazioni di Carl Sagan e la “sua” foto. Buona visione:

L’acqua non bagnerà più – I prodigi della scienza

Oggetti che respingono l’acqua, abiti che non si bagnano, guanti che immersi nel fango ne escono lindi come appena comprati. Sono solo alcune delle applicazioni future che potrebbe avere il rivestimento idrorepellente presentato in questo video da Mark Shaw. Durante una delle mini conferenze del TED, lo studioso che si occupa dello sviluppo di tecnologie per il contenimento di rifiuti pericolosi, radioattivi o acque inquinate, ha fornito una dimostrazione pratica delle potenzialità del nuovissimo rivestimento scaccia acqua. Potenzialmente qualsiasi oggetto può essere trattato con questa tecnologia. C’è da restare a bocca aperta.

Le misure dell’universo

Qualche post fa abbiamo parlato dell’incredibile viaggio della sonda Voyager 1 (qui l’articolo) che sembrerebbe aver lasciato il nostro sistema solare per immergersi nello spazio interstellare. La distanza percorsa dalla sonda è straordinaria (dell’ordine di decine di miliardi di km) ma risulta un minuscolo infinitesimo rispetto alle dimensioni di tutto l’universo. Risulta quantomeno difficile immaginare le grandezze in gioco e figurarsi velocità e distanze quando si parla di spazio. Chi non si è mai posto la domanda che regna sovrana: quanto è grande l’universo? Questo video prova a darvi qualche delucidazione in merito.

Voyager 1 – Verso l’infinito ed oltre

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La notizia deve ancora ricevere la conferma ufficiale della NASA, ma alcune notizie riferiscono che il Voyager 1 abbia lasciato il nostro sistema solare. Attualmente la sonda, lanciata nel settembre del 1977, è il manufatto umano più lontano dal nostro pianeta e da ieri (o a breve) il primo oggetto a lasciare il nostro sistema solare. La sonda, lanciata in origine con lo scopo di studiare ed esplorare il sistema solare esterno, ha permesso di ottenere quasi la totalità delle conoscenze che ad oggi si hanno riguardo a Giove e Saturno. Terminata la sua missione primaria, la sonda ha proseguito poi sulla sua orbita diretta verso lo spazio interstellare. Negli ultimi giorni, secondo gli astronomi, lo spettro di radiazioni rilevato dalla sonda sarebbe radicalmente mutato, dimostrando che Voyager ha abbandonato definitivamente l’eliosfera, quella gigantesca bolla che racchiude il nostro sistema solare e che risente dunque dell’influenza magnetica della nostra stella. Lassù a più di 18,5 miliardi di chilometri qualcosa è accaduto dunque e starà agli esperti dirci cosa in particolare.

Voyager Golden Record

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La sonda spaziale fu lanciata con al suo interno il Voyager Golden Record, una sorta di disco per grammofono interamente d’oro, all’interno del quale sono registrati suoni e immagini selezionate al fine di rappresentare la varietà di vita e di cultura della terra. Tra i dati memorizzati sul disco trovano posto saluti formulati in 55 lingue e circa 90 minuti di musica proveniente da differenti culture e da varie parti del mondo, tra cui spiccano nomi celebri come Bach, Beethoven e Mozart. Nella custodia contenente il disco sono inoltre riportate delle istruzioni che consentirebbero, qualora fosse ritrovato da altre entità intelligenti, di riprodurre i suoni e visionare il contenuto del simbolico oggetto. Simbolico è l’aggettivo giusto: le probabilità che qualcuno ritrovi il disco sono assai remote se messe in relazione alla vastità dell’universo. Ma, anche se minima, un giorno fra qualche decina di migliaia di anni o più, qualche civiltà potrebbe rinvenire la sonda ancora in viaggio e recuperare il disco. Al suo interno, tra le altre cose, troverebbe un messaggio di Jimmy Carter ex presidente degli Stati Uniti, direttamente da un pianeta distante miliardi di chilometri che testualmente afferma:

« Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri. » Jimmy Carter

Immaginate la scena, pensate a tutto ciò che potrebbe pensare una civiltà che forse come noi sta cercando di mettersi in contatto con altre forme di vita: direi che tentar non nuoce.

“Making the invisible visible” – Uno sguardo sul mondo dalla ISS

Uno spettacolare filmato, un tributo al programma spaziale che ha permesso di realizzare la ISS, il più grande oggetto spaziale costruito e lanciato nel cosmo, ma anche una prova dell’eccezionale abilità del fotografo (astrofotografo) Don Pettit, le cui immagini sono state montate da Christoph Malin a formare 4 video con tecnica timelapse. Un documentario che grazie a Pettit rivoluziona il modo di vedere la terra dallo spazio. Da visionare categoricamente in HD, “Making the invisible visible” è il video che più di ogni altro descrive la nostra condizione di piccole creature in un universo sconfinato, ma che mette in luce anche il grande sforzo umano verso la conoscenza e il sapere. Avrete la possibilità di osservare in prima persona gli incredibili scenari che si presentano agli occhi di chi ha avuto la fortuna di poter restare a bocca aperta non guardando verso l’alto, come di solito accade per noi quaggiù sulla terra, bensì scrutando dai 278 ai 460 km di altezza, viaggiando alla modica velocità di 27743,8 km/h e con la possibilità di effettuare 16 rivoluzioni intorno alla terra. Ciò significa riuscire a vedere l’alba e il tramonto per 16 volte al giorno (spazio ai romanticismi). Insomma da non perdere, buona visione!